• Alessandro Dal Pont

a cura di Luigi Fassi

Durata
30 maggio - 22 luglio 2005

Altre mostre

In una celebre opera di Roy Lichtenstein datata 1964, Apollo Temple, la genialità dell'artista newyorchese restituiva nuova vita ai resti di un tempio greco, ridisegnandone l'immagine con i colori felicemente brillanti e invasivi della Pop Art americana.
L'immagine ha l'aspetto di una scoperta entusiastica, come un bambino che venga a conoscenza di un mondo meraviglioso e provi a renderlo suo, aggredendolo di colori e fantasie personali. Lichtenstein aveva già realizzato molteplici opere sulla cultura classica, come le Entablatures degli anni Settanta, in cui citava, reinterpretandoli liberamente, i fregi e i cornicioni del neoclassicismo americano anni Trenta, in una spericolata traduzione culturale a doppio livello, dalla grecità antica-all'America-alla Pop Art.

L'aspetto più sorprendente di queste operazioni di Lichtenstein sta nella loro natura ipertestuale, nella capacità di connettere tra loro elementi assai diversi, mediante un immaginario ludicamente inarrestabile, ma sorprendente per rigore logico e forza intuitiva. Non è dissimile la strategia di Alessandro Dal Pont, nel cui lavoro in mostra la capacità ipertestuale pare destinata ad un'espansione semantica senza limiti, tanto più dispiegata quanto più l'artista manipola in piena libertà l'immaginario fumettistico americano, scoprendolo nella sua fertilità concettuale e contaminandolo con la ricchezza della mitologia greca-classica. Il cortocircuito visivo cui Dal Pont consegna la popular culture americana e la mitologia greca, è una leva d'Archimede mediante la quale l'artista inscena una deriva semiotica complessa, dove ogni elemento diventa figura di qualcos'altro.
La mostra si caratterizza così come una partita doppia, un'ipotesi concettuale in cui Dal Pont opera come un doctor subtilis, pronto a rispondere con acribia concettuale all'operazione di scoperta del classicismo da parte dell'artista newyorchese, operando un'inversione radicale che riscopre il pop americano immergendolo nella tradizione mitologica occidentale. Non è un'operazione indolore. Dal Pont stravolge infatti la superficie patinata della Pop Art e del fumetto americano, la loro tronfia piattezza paradisiaca, mediante un recupero della storia e della complessità culturale. È come se l'artista aprisse un orizzonte oscuro e travagliato, costringendo la popular culture a farsi corpo storico, subendo la mediazione della vita e della sua ineluttabile finitezza. La mitologia greca è così figura ancestrale del Vecchio Continente, della sua tradizione e della sua consapevolezza filosofica e culturale. La cromia bidimensionale del fumetto si fa articolata tridimensionalità scultorea, la grafia puntinata di Lichtenstein diventa viva materia organica e l'uniformità della tessitura pop lascia il posto a una struttura metamorfica misteriosa. La mostra diventa un viaggio di andata e ritorno America-Europa, in una specularità geografica e culturale che appare raffinato esercizio di stile, ma è soprattutto operazione umanistica, pronta ad offrire un nuovo paradigma di confronto con le forme culturali.

L'animazione Due Dee rivela le inconfondibili sagome fumettistiche di Paperina e Nonna Papera intente a specchiarsi reciprocamente, in una sorprendente manifestazione di identità metamorfica. Così come Lichtenstein si serviva dello specchio e dell'idea di riflesso per innescare la duplicazione concettuale di immagini che informa tutto il suo lavoro, nell'intuizione ipertestuale di Dal Pont, l'identità di Nonna Papera-Paperina rinvia, per specularità, alle figure mitologiche di Demetra e Persefone. Nella tradizione ellenica, Core-Persefone è in perfetta continuità con la madre, è Core-figlia pronta a diventare Core-moglie, futura sposa di Ade e con questi signora degli Inferi nell'Erebo. La corrispondenza armonica tra Madre e Figlia, le due dee, come venivano chiamate nel mito e nel culto, è destinata a infrangersi e disperdersi nella tensione che si apre fra i due contendenti, Demetra e Ade, per il possesso di Persefone. Popcorn è una cernita di sessantamila chicchi di mais, prodotto originario del Nuovo Mondo, sconosciuto in Europa sino all'impresa di Colombo. Nella sua dorata grandiosità, l'opera è ideale rappresentazione di Demetra, dea delle messi e della fertilità, fonte sorgiva di vita e benessere per gli uomini e le campagne. Quasi un prezioso periplo divino, Popcorn è attraversato da un'aura metafisica, che lo rende perfetta presenza misterica, immagine simbolica dei riti eleusini dedicati a Demetra. Ma il titolo dell'opera, nella sua prima metà, segnala anche l'uso metaforico che ne fa l'artista, individuandolo come passaggio semantico dall'America all'Europa, dalla Popular culture alla mitologia classica. REM si contrappone a Popcorn già nella posizione abbassata, cupa e funerea.
Come un corpo rigido immerso nel sonno, le sue pupille si muovono febbrilmente, inseguendo immagini misteriose, sino a un lento soffocamento per asfissia, rappresentato dal decesso delle mosche all'interno degli occhi-bicchieri. È come se l'opera stessa avesse uno sguardo, una visione oscura e claustrofobica, costruita però mediante le forme di un'estetica giocosa, suggerita per rapidi cenni antropomorfizzati alla nostra fantasia immaginativa. È un signore degli Inferi vagamente pop, quello che l'artista ci presenta, invisibile come vuole la tradizione mitologica, ma simile ad un elemento grafico disperso di uno storyboard fumettistico o di un cartone animato.
La commistione più emblematica tra sintassi pop e semantica simbolica, raggiunge il suo vertice ne Gli Sposi, il lavoro più complesso ed enigmatico di Dal Pont. L'opera appare come una rappresentazione sintetica di un festoso sposalizio, di una raggiunta condivisione, celebrata e simboleggiata da un uso concettuale del fumetto, in un contrappunto di iconografie maschili e femminili, tra grazia e levità, comunione e ingenuità. Ma l'armonia dell'insieme si rivela solo fittizia, ammorbata da dettagli inquietanti e sepolcrali, destinati a svelarsi poco a poco precipitando l'opera in un abisso inestricabile. I contenitori, infatti, rammemorano due sarcofaghi, due ritratti mortuari, in cui la parte rossa maschile è tesa sul filo sottile di un bilico periglioso, abbandonata alla propria deriva e ormai prossima a cadere. Gli occhi-bicchieri sui lati alludono allo sguardo delle due entità, e permettono di rilevare, nel corpo interno delle scatole, un misterioso foro circolare, punto di contatto imperfetto ed estremo tra i due amanti, così come in contatto sono i due lacrimatoi superiori, dove ancora il rosso maschile pare sospinto verso la caduta dalla sua controparte femminile. Come in una sorta di esplosione scultorea, ogni dettaglio interiore si palesa all'esterno, ogni elemento è tassello in un cartografia di corrispondenze continue, e l'opera disegna una simmetria perfetta di amore-morte, un ritratto di un'unione fosca e dolente, come quella di Ade e Persefone nell'oscuro regno dei morti.
La discesa all'Erebo della fanciulla divina segna la perdita definitiva dell'infanzia di Core-Persefone, l'inizio traumatico dell'età adulta e la rottura dell'unità ideale con Demetra. Così Gli Sposi ha l'aspetto dimesso e malinconico di una festa adolescenziale appena conclusasi, con i bicchieri di carta abbandonati ancora colmi, i regali riposti in un angolo e le smorfie di Paperino che sembrano malinconicamente provare a trattenere l'eco degli schiamazzi e delle grida di poco prima. Oppure i due ritratti paiono due fiori sovrapposti con gli steli spezzati, due corolle in versione cubista, adagiate e sopite per sempre, negli ultimi attimi di esalazione della loro essenza aromatica. La matassa concettuale dipanata da Dal Pont si fa così labirinto di ascolto tra storie e culture diverse, segnando le forme di una strategia artistica tesa sul filo di ricordi, citazioni e dettagli onirici. Già l'Apollo Temple di Lichtenstein sembra metafora di un sogno, sospeso com'è tra realtà e immaginazione, in un viaggio fantastico e prodigioso alla scoperta della grecità e della tradizione classica. Nella volontà di Dal Pont di dare continuità alle tradizioni e smussare i contrasti tra le culture, agisce una forte dimensione ermeneutica, l'intuizione cioè che la verità non si dà per selezione, ma per arricchimento. Estetica pop e mitologia, popular culture e grecità non sono dunque alternative in contraddizione, bensì paradigmi culturali accostabili e manipolabili, quasi dei readymade, dei vettori semiotici esemplari di un'operazione artistica tesa alla moltiplicazione dei significati. Come se nel tempio di Lichtenstein ci fosse un uomo dormiente, intento a sognare la mostra e immaginare tutto un mondo di infiniti rimandi e armonie, tra passato e presente, realtà e fantasia, riflesso e identità.


Alessandro Dal Pont è nato a Feltre (BL) nel 1972, vive e lavora a Milano e Belluno.