testo di Federica Martini

Durata
21 aprile - 1 giugno 2023

Altre mostre

Tagliata da un tratto obliquo, la parola Forget/Fullness evoca una paradossale “pienezza nella dimenticanza”. Eva Frapiccini sceglie questo termine disgiunto a titolo della sua mostra personale presso la Galleria Peola Simondi, che interroga la condizione dell’immagine in un mondo visualmente saturo, dove il volume e la tipologia di fotografie digitali in circolazione è inversamente proporzionale alla nostra capacità di ricordare. L’artista presenta una serie di istantanee analogiche che registrano eventi marginali. Le fotografie ritraggono aspetti secondari normalmente relegati alla nostra visione periferica: fotografare il margine rivela dinamiche di luce e trame materiali, l’inquadratura si libera dal compito di documentare e catturare un’informazione centrale. Le immagini rappresentano emozioni, ma non raccontano, poiché l’artista le sottrae al compito di trattenere tracce di eventi specifici. Laddove gli archivi di Eva Frapiccini insistono solitamente sulla preservazione e sull’importanza di ricordare, in Forget/Fullness la fotografia è utilizzata per creare un archivio singolare di momenti da dimenticare.

Nel posare il suo protocollo di lavoro per Forget/Fullness, l’artista collega la nozione contemporanea di offloading (scaricamento) cognitivo e la delega del ricordo al cloud con l’esperienza analogica descritta da Italo Calvino nell’“Avventura di un fotografo” (1). Scritto nel 1970, quando una prima “follia del mirino” crea l’illusione che la macchina fotografica possa registrare totalmente e in scala 1:1 la realtà, il racconto segue la conversione di Antonino Paraggi da non-fotografo diffidente a “cacciatore dell’inafferrabile” e invasato fotografo dilettante: “L’unico modo d’agire con coerenza – sostiene Paraggi – è di scattare almeno una foto al minuto, da quando apre gli occhi al mattino a quando va a dormire. Solo così i rotoli di pellicola impressionata costituiranno un fedele diario delle nostre giornate, senza che nulla resti escluso”. 

In Forget/Fullness, il tentativo estremo di Antonino Paraggi di documentare ogni istante e la sua fiducia nella capacità della fotografia di ricordare ciò che accade veramente sono sospesi e scardinati. Se “la fotografia promette potere poiché propone di rendere visibile la verità”, scrive la storica dell’arte Griselda Pollock, è nello “sguardo fotografico” che si uniscono “il visibile e l’invisibile, la presenza e l’assenza”. All’evento memorabile che la fotografia tradizionalmente censisce si associano quindi, con pari importanza, il fatto visivo secondario e il punto cieco. Come in altri progetti Frapiccini si concentra sugli elementi sussidiari di questi binomi. Che si tratti di ricordare “la polvere” di esperienze oniriche soggettive in Dust of Dreams, o di marginali annotazioni e minute scritte a margine di documenti storici in Il Pensiero che non diventa Azione avvelena l’Anima, il processo documentario dell’artista mira, in primo luogo, a catturare la dimensione emotiva e psicologica dei grandi eventi del passato. Il suo sguardo si sofferma sui materiali che gli storici non tratterebbero e che in gergo archivistico la storica Arlette Farge chiama gli “scarti”: documenti inclassificabili, incompleti, corrosi e maltrattati dal tempo, e quindi parzialmente illeggibili. 

C’è un contrasto sorprendente tra la fragilità dei documenti incompleti e la pienezza informativa in cui ci immergono oggi i social media, poiché la fotografia digitale è nel contempo effimera e duratura, legata all’instante presente, ma potenzialmente ri-postabile. La riapparizione di un’immagine digitale non è più determinata dalla sua rilevanza storica, osserva Eva Frapiccini, ma dalla carica emozionale che riveste per chi la seleziona. Nell’economia dell’attenzione e della memoria visiva condivisa, la fotografia diventa quindi affettiva e sociale in un altro senso. Conservata dai social media, riassume un insieme di dati, senza confrontarci con “l’intensità sonora e sensoriale” dell’immagine che racconta (Tina M. Campt) né suscitare la coesione sociale propria a ogni atto di memoria collettiva (Allan Sekula). All’archiviazione eseguita dallo storico professionista o da chi, come gli artisti, comprende l’importanza che un documento visivo riveste per una determinata comunità, si sostituisce una privatizzazione dell’atto mnemonico, che si manifesta, ma di fondo, e aldilà del lessico adottato dai social media (share), non si condivide. 

A questa ingiunzione, Eva Frapiccini oppone una ridistribuzione delle responsabilità visive, attribuendo alla memoria umana l’evento rilevante e alla macchina ciò che resta fuori fuoco. La visione decentrata implica un’attenzione alla materialità del ricordo. Se il corpo è assente dalle fotografie di Forget/Fullness, a implicarlo è l’uso della macchina fotografica Hasselblad che richiede all’artista un processo eminentemente fisico: l’apparecchio si tiene all’altezza della pancia, gli intervalli di scatto straordinariamente lenti rispetto alla rapidità cui ci ha abituati lo smartphone. Si tratta di tentare l’operazione irreale preannunciata da Calvino di “dare un corpo al ricordo per sostituirlo al presente davanti ai suoi occhi”. 

Federica Martini

 

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(1) “Avventura di un fotografo” di Italo Calvino fu pubblicato nella raccolta di racconti Gli amori difficili (Torino, Einaudi, 1970).  Il racconto riprende le riflessioni sulla fotografia amatoriale sviluppate da Calvino nell’articolo “Le follie del mirino”, pubblicato in Il Contemporaneo nell’aprile 1955.

Italo Calvino, “Le follie del mirino”, in Il Contemporaneo, 30 aprile 1955. 
Italo Calvino, “L’avventura di un fotografo”, in Id., Gli amori difficili, Torino, Einaudi, 1970. 
Tina M. Campt, Listening to Images, Durham, Duke University Press, 2017.
Griselda Pollock, Vision and Difference: Feminism, Femininity and Histories of Art, Londra, Routledge, 2015.
Allan Sekula, “The Body and the Archive”, in October, vol. 39 (inverno 1986).

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